Sabato 23 febbraio ore 11
Il Cipresso è il nome italiano della pianta delle Cupressacee Cupressus sempervirens, caratteristica della macchia mediterranea, dalla chioma affusolata a forma piramidale. Originaria delle zone orientali, la conifera fu introdotta in Italia in epoca romana, divenendo, a poco a poco, il simbolo di alcuni paesaggi della nostra penisola.
Famosi sono i secolari cipressi toscani di Boboli e Poggio Imperiale o quelli di Bolgheri in Maremma, ai quali Carducci attribuì il compito di ricordare i momenti legati alla sua infanzia.
I cipressi possono vivere centinaia di anni come il cipresso di San Francesco in provincia di Rimini che ha 800 anni o come il cipresso di Montezuma, noto anche come Árbol del Tule, che si ritiene l’albero più grosso del mondo. Secondo il comitato che si occupa delle nomination per il patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, la pianta misura 35 metri di diametro e 30 di altezza. L’albero deve il suo nome alla chiesa di Santa Maria del Tule nello Stato messicano dell’Oaxaca, in cui l’albero si trova da circa 2.000 anni, quando forse venne piantato da un sacerdote azteco.
Il Cipresso è il simbolo dell’immortalità come emblema della vita eterna dopo la morte, infatti lo si trova sovente nei pressi dei cimiteri. Per la sua verticalità assoluta, l’erigersi verso l’alto, il Cipresso indica l’anima che si avvia verso il regno celeste. Nella Grecia antica è associato ad Apollo. È l’albero di Ade, dio dei morti. Poiché il cupo fogliame del Cipresso esprime malinconia e dolore, i sacerdoti di Ade se ne facevano delle corone e se ne cospargevano le vesti durante i sacrifici. L’origine mitologica del Cipresso è narrata nella leggenda greca di Ciparisso. Apollo, il dio del sole, si era invaghito della bellezza del giovane Ciparisso, che aveva per compagno un cervo addomesticato. Mentre un giorno si esercitava con l’arco, Ciparisso colpì mortalmente il cervo. Tanta era la sua disperazione da implorare a sua volta la morte. Apollo, commosso dal dolore del suo amato, lo trasformò in un albero al quale dette il nome di “Cipresso”, e che diventò da allora il simbolo del lutto e dell’accesso all’eternità.
Però non ha solo questo significato. Infatti la sua chioma allungata verso l’alto, ricorda la forma di una fiamma e per tale ragione esso è collegato alla luce e, quindi, alla vita.
I Persiani lo ritenevano il “primo albero del paradiso”, in quanto esso stabiliva una sorta di collegamento tra il mondo degli inferi e quello dei cieli: le sue radici crescono nelle profondità della terra, mentre la sua chioma si erge ritta sino al cielo; per la sua longevità gli antichi lo consideravano un simbolo di immortalità e, per tale ragione, veniva associato ad alcune divinità del Pantheon. A suggerire un legame con la vita è anche la sua forma fallica: gli antichi Romani erano soliti intagliare con legno di cipresso le statue di Priapo, divinità della fertilità e dell’abbondanza. Il cipresso rappresenta non solo il lato maschile dell’esistenza, ma anche quello femminile: da qui l’usanza di piantare un albero di cipresso per ogni figlia femmina nata. Inoltre il cipresso nell’antichità, era anche un dono augurale da consegnare come regalo di nozze agli sposi, come testimoniato dal poeta Catullo (Poesie, LXIV).
Quindi nel cipresso troviamo un doppio significato: una valenza funebre e di conforto per gli estinti e il simbolo della vita inteso come fertilità o augurio per una nuova famiglia.
E’ stato per me straordinario la coincidenza tra il messaggio che ho ascoltato da un vecchio cipresso sulle colline di Bologna e quanto ho letto in questa ricerca recente sul significato simbolico di questo albero. Come sempre accade è molto forte la connessione che c’è tra Natura e uomo. Concludo riportando qui di seguito il messaggio del vecchio Cipresso:
“Tutto cambia nulla è immutabile, tutto cambia e si trasforma e non sempre in meglio a volte potrebbe sembrare in peggio, ma si trasforma.
Se non accettate l’idea che nulla rimane fermo, la vostra vita diventa un inferno.
Noi alberi conosciamo bene la saggezza del cambiamento e della trasformazione e l’accettiamo, stiamo in ogni attimo vivendolo come un ciclo completo della nostra esistenza. Ecco questo è il segreto della vita felice mentre pretendere che tutto rimanga fermo e stabile è una follia. Pretendere di controllare tutto, immobilizzarlo in un attimo in una situazione è una follia. E’ come se l’acqua di un fiume si potesse fermare invece che correre verso il mare e come se un seme potesse fermare la sua crescita e rimanere un arbusto e non un grande albero come è nella sua essenza, perchè magari si sente più protetto dagli altri alberi: questa è follia, non è nella natura delle cose e se ognuno di voi rimanesse connesso alla saggezza della natura tutto andrebbe meglio.
Nulla rimane immobile e stare nell’evoluzione è il segreto per essere felici, controllare l’attimo e immobilizzarlo è il modo per essere infelici. Tutto qua.
Senti il mio tronco come è rugoso, ecco il mio tronco dà il senso delle cose che cambiano e si trasformano, la vita parte dal centro del mio tronco e si espande verso l’esterno mano mano muore, ma continua a crescere dentro qualcosa di nuovo, non perdiamo niente perchè ogni volta che muore qualcosa, c’è qualcosa che inizia.
Ricordati queste frase ogni volta che perdi qualcosa c’è qualcosa di nuovo che inizia e anche se può sembrare faticoso, se in quel momento inizia è perchè il meglio che ti deve capitare. Fidati della vita.”
Qui sotto potete sentire la vibrazione dell’Acero tradotta in suono attraverso l’apparecchio Music of Plants